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Lui & Lei

In fuga da...


di renko
24.12.2024    |    616    |    0 9.2
"Non so se per la paura, il freddo o la fame..."
Un racconto fuori dagli schemi di questo sito, una storia "noir" inquietante che non pone l'atto sessuale al centro della vicenda, una cavalcata ai confini dell'immaginazione con un finale tragico...

In fuga da...

Imbocco la stretta e lunga valle che porta alle montagne innevate che si stagliano sullo sfondo ad una
velocità folle. Il nevischio caduto rende l’asfalto scivoloso. Il rischio di finire fuori strada e precipitare
nel fiume che scorre a pochi metri dall’auto mi stringe le viscere. Non è il coraggio che mi fa sfidare il
pericolo ma la paura di un demone ben peggiore, che mi sono lasciato alle spalle due giorni fa. Da
allora sono in fuga, una fuga disperata.
Fa freddo, molto freddo. In fondo a questa vallata il sole non riesce a far arrivare i propri raggi per
diversi mesi. Tutto attorno a me è bianco, i rami degli alberi sembrano congelati sotto uno strato di
brina. Il fiume per lunghi tratti mostra lastre di ghiaccio lungo le rive. Vedo il mio respiro affannato
formare bianche nuvole di vapore. Il balbettante riscaldamento della vecchia auto che sono riuscito a
rubare non riesce a contrastare il freddo che entra nell’abitacolo dall’esterno. Spifferi gelidi si
insinuano dove i pochi vestiti che sono riuscito ad agguantare al momento della fuga non coprono la
pelle.
Il mio corpo trema e non riesco a farlo smettere. Non so se per la paura, il freddo o la fame. Non mi
ricordo da quante ore non mangio e non dormo. Le palpebre sono pesanti, ma l’adrenalina le
costringe a rimanere aperte. I riflessi iniziano a rallentare, sono stanco, molto stanco.
Faccio appena in tempo a capire che la curva che ho preso a quella velocità mi porterà a sbattere
contro la roccia alla mia destra. L’auto sbanda paurosamente, tolgo il piede dall’acceleratore, mi
attacco al volante e mi preparo allo schianto.
Qualcosa raddrizza la vettura che, con una improvvisa scodata, rimette il muso in direzione della
strada. Passato il pericolo torno a pestare sul pedale destro, sento il rombo provenire dal vecchio
motore. Forse anche lui soddisfatto della improvvisata manovra.
Mi rendo conto che non posso più proseguire, devo fare una sosta. Devo correre il rischio. Mentre
penso a tutte le precauzioni da prendere la strada si apre in un lungo rettilineo. Vedo un’insegna
bianca e blu sporgersi sulla strada. Rallento e strizzo gli occhi per capire cos’é. Un distributore di benzina.
Piccolissimo, una sola pompa, a destra benzina verde a sinistra gasolio. È abbastanza piccolo per non
avere telecamere di sorveglianza. È abbastanza isolato da non attirare sguardi curiosi.
Un rapido sguardo alla lancetta che mi avvisa che il serbatoio è quasi vuoto, decido di fermarmi. Non
ho scelta.
Fermo l’auto davanti alla pompa. “Self Service” mi informa il cartello, bene. Sono ancora seduto in
macchina. Guardo fuori dai finestrini appannati, non vedo anima viva. Scendo infine, le gambe mi
tremano e mi fanno male. Ore di guida e la paura che non mi abbandona per un istante. Infilo 50
euro nella fessura ed estraggo la pistola per fare rifornimento. Magari avere un’altra pistola per
difendermi...
Mentre mi perdo nel ronzio della pompa vedo un piccolo edificio in pietra nascosto da un grande
abete. Non si notava dalla strada, i rami dell’albero sono stati lasciati crescere fino quasi a livello del
terreno. Una luce accesa illumina la piccola finestra che si affaccia sulla strada. All’interno vedo un
bancone di legno e bottiglie di colori e forme diverse. È un bar.
Faccio un rapido bilancio dei rischi e dei vantaggi, sono troppo stanco, mi serve una pausa, devo
mangiare qualcosa. Non ce la posso fare a proseguire ancora. Rimetto al suo posto la pistola e mi
incammino verso il locale a passi incerti. Prima di entrare mi guardo alle spalle, non vedo nessuno, è
così ormai da molti chilometri. Questa zona è veramente isolata dal mondo, bene così.
Due robuste porte in legno massiccio con in mezzo uno stretto ingresso proteggono l’interno dal
freddo pungente che attanaglia la valle. Ci sono solo tre tavolini, poche sedie e il bancone che ho
visto dalla finestrella. Per il resto è deserto.
Provo con un colpo di tosse, nulla. Chiamo: “C’è nessuno?”, nulla. Però nel caminetto in fondo al
locale arde un ceppo di quercia. Mi avvicino per scaldarmi, lentamente torna a scorrermi la vita nelle
vene. Mi siedo sulla panca che circonda il caminetto, gli occhi sono pesantissimi, li chiudo solo per un
attimo rischiando di assopirmi. A strapparmi dal sonno è un improvviso rumore proveniente dal
bancone del bar.
“Mi scusi, mi sono spaventata. Non l’avevo sentita arrivare.”
La donna che mi appare ha lo sguardo sorpreso e preoccupato allo stesso tempo, penso possa
dipendere dal mio aspetto trasandato. Ha lasciato cadere sul bancone un pesante tagliere di legno
sul quale è posata una pentola fumante. Un profumo invade l’aria della stretta stanza, cibo.
“Buongiorno. Mi scusi lei se l’ho spaventata. Non volevo. Cercavo qualcosa di caldo da bere, è
possibile?” Le chiedo nel modo più gentile che posso, cercando di nascondere le mie paure e di
dimostrarmi inoffensivo.
“Certo, si sieda pure. Se ha fame ho dello spezzatino appena tolto dal fuoco. Le porto del vin brulé?”
Sorpresa e preoccupazione sono sparite dal suo sguardo. Mi tranquillizzo anch’io e accetto con
entusiasmo quello che mi propone. È giovane, non credo abbia più di quarant’anni, un ampio
grembiule le nasconde il corpo, che però intuisco essere tonico e proporzionato. I lineamenti del viso,
dopo l’iniziale spavento, sono rilassati e il sorriso le illumina il volto grazioso. I capelli castani sono
raccolti in una coda di cavallo e gli occhi verdi vivaci e luminosi.
Mi verrebbe spontaneo assalire selvaggiamente il piatto di spezzatino fumante e trangugiare il vino
caldo, tanta è la fame che mi scava una voragine dentro. Cerco invece di dimostrarmi calmo e
rilassato, e inizio a mangiare tranquillamente la carne, raccogliendo la saporita salsa con pezzi di
pane strappati da una pagnotta ancora calda.
Piano piano il cibo e il vino mi rimettono al mondo. Sto tornando a vivere, sto tornando ad essere me
stesso. La paura mi sta lentamente scivolando fuori dal corpo seguita dal freddo e dai miei demoni.
Si avvicina con la brocca di vin brulé e mi riempie il bicchiere, mi sorride, ricambio con gratitudine.
“Non c’è molta gente da queste parti.” Non si capisce se la mia sia una domanda o un’affermazione.
“Siamo abbastanza isolati, è vero. Una volta c’erano gli operai della cava, ma adesso è chiusa. Il
Comune è talmente povero che si sono dovuti vendere un pezzo della montagna per pagare le
spese.”
Scompare dietro il bancone con un accenno di sorriso, un’alzata di spalle e il piatto vuoto. Sono
attratto da lei. Ha qualcosa di rassicurante e allo stesso tempo eccitante. Non posso permettermelo,
mi dico, devo riprendere la mia fuga dagli incubi al più presto. Devo tentare di sfuggire ai fantasmi
che mi perseguitano. La sosta era obbligata, ma ora devo fuggire.
Ricompare con una bottiglia e due bicchieri in mano. Li posa sul tavolo e si siede a fianco a me
versando un liquido ambrato nei due bicchierini.
“Questo lo offre la ditta! Un liquore alle erbe che facciamo da queste parti. Lo assaggi.” Mi suggerisce
alzando il suo bicchiere attendendo il tintinnio col mio per suggellare il brindisi.​
La accontento sorridendo mentre incollo il mio sguardo al suo. Non distoglie gli occhi dai miei,
quante cose si dicono senza pronunciare una sola parola. La tensione cresce rapidamente nell’aria, la
posso percepire. La distanza si accorcia velocemente. In un attimo le labbra si incontrano, le bocche
si cercano, si trovano. Le lingue si esplorano, come due serpenti in amore si intrecciano. Le mani si
insinuano sotto i vestiti, cercano la pelle calda, seni palpitanti, respiro affannato, ormoni in
esplosione.
Sul tavolo la bottiglia e i due bicchieri vengono spazzati via, cadono a terra lasciando spazio a due
corpi frementi. L’amplesso è improvviso e violento. Non c’è dolcezza, solo passione sfrenata e fisica. Il
seno di lei, liberato dalla camicetta che lo copriva, sfrega sul legno del tavolo ad ogni colpo. Le fa
male, ma le urla non sono dovute al dolore. È un’escalation di emozioni, una frenesia sessuale che
sale senza pause. La mano sulla nuca di lei la spinge sul tavolaccio, mentre viene posseduta da
dietro. Apre gli occhi solo per un istante, ma proprio in quel momento lo schermo del televisore
mostra quello che non avrebbe dovuto. L’audio è stato disattivato, non le interessa la tv, la tiene
accesa per abitudine, una consuetudine rimasta da quando il locale era frequentato dagli operai della
cava. Stanno passando le immagini di un uomo in fuga, braccato, ricercato e pericoloso. È lo stesso
uomo che la sta possedendo in quel momento...
Le montagne imbiancate dalla neve sembrano avvicinarsi sempre più rapidamente, la strada ha
ripreso a scorrere velocemente con le sue curve pericolose, il fiume una costante compagnia alla mia
sinistra, il motore ruggisce cattivo. Fa freddo, ancora tanto freddo, se possibile ancora più freddo di
prima della sosta. Mi sento vuoto, solo e svuotato da ogni emozione. Solo l’angoscia mi accompagna
nella mia folle corsa.
Mi succede sempre così dopo...
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